CENNI STORICI
Treviso è un comune di circa 85.000 abitanti, capoluogo dell’omonima provincia in Veneto. Sorge sulla media pianura veneta in una zona ricca di risorse idriche: numerose sono le sorgenti risorgive, localmente dette fontanassi. Entro lo stesso territorio comunale nascono numerosi fiumi di risorgiva dei quali il più importante è il Sile, che tocca, a sud, il centro storico. La città è inoltre attraversata dal Botteniga. Quest’ultimo, dopo aver ricevuto le acque di Pegorile e Piavesella, oltrepassa le mura all’altezza di Ponte di Pria e si divide poi nei diversi rami, detti cagnani (Cagnan Grando, Buranelli, Roggia ecc.), che tanto caratterizzano il centro storico. Altri fiumi rilevanti, tutti affluenti del Sile, sono lo Storga, il Limbraga (da sinistra) e il Dosson (da destra).
La città poggia su un terreno composto di materiali fini e limoso-sabbiosi. La distribuzione dei vari livelli stratigrafici è molto irregolare a causa delle frequenti divagazioni e variazioni del corso dei fiumi. L’altitudine minima è di 6 m s.l.m. e si riscontra all’estremità sudorientale del territorio comunale, in località Sant’Antonino; di contro, il punto di massima, 31 m s.l.m., corrisponde all’estremità nordoccidentale, nei pressi del quartiere di Santa Bona, situato all’esterno delle mura, nell’area a nord. Il municipio, ubicato nel cuore del centro storico, nella sede di Ca’ Sugana, si trova invece a 15 m s.l.m.
Questi fiumi di risorgiva hanno segnato la morfologia e determinato per secoli l’economia e gli scambi della città. Dalle Pre Alpi venete, che con il loro profilo ne rappresentano il confine naturale, scende sinuosamente il Piave che nella pianura trevigiana si unisce al corso dei molti canali artificiali. Il paesaggio è tipico di una pianura ricca e “abbeverata”, caratterizzata da terreni coltivati, boschi e colline, borghi e, oggi, anche industrie.



L’origine del nome Treviso non trova derivazioni sicure. C’è chi lo accosta al celtico tarvos (toro), chi in trev che in gallico signifia “villaggio di legno”, chi “tre-visi” di cui resta, come testimonianza, la figuretta a tre facce collocata davanti alla sede municiple di Ca’ Sugana. Il riferimento piu’ attendibile rimane comunque quello derivante dal latino ter-visus riferito a tre alture corrispondenti alle attuali Piazza Duomo, dei Signori e S. Andrea.
L’origine di Treviso si perde nella notte dei tempi. Di sicuro sappiamo che Treviso ebbe origini fluviali e questa sua caratteristica segnò nel tempo le sue vicende geostoriche e paesaggistiche (Tessari). Con un’ immagine poetica potremmo dire che Treviso è un dono del Sile e dei Cagnani. Le origini della città sono in ogni caso molto antiche, anche se manca una datazione certa riguardo la nascita dell’insediamento urbano. Reperti fanno risalire i primi insediamenti probabilmente attorno al Mesolitico. Successivamente testimonianze segnalano la presenza della civiltà paleoveneta che, verosimilmente, si stanziò in villaggi sparsi sulle isole fluviali e sulle colline attorno alla città.
Attorno al 400 a.C. Si colloca l’arrivo dei romani. Treviso fu castrum e successivamente municipio. Rimangono, particolarmente ben conservati, il perimetro e un mosaico di un complesso termale, forse adibito successivamente a battistero paleocristiano. Il ritrovamento di questi reperti testimonia l’importanza dell’idrografia del luogo, delle acque, dei fiumi e delle risorgive che influenzarono lo sviluppo della città e il rapporto tra le popolazioni e il territorio. Significativa anche la posizione del castrum romano: di forma quadrata, era delimitato sui quattro lati dalle acque. Durante l’epoca romana furono costruite diverse strade collegate alle principali arterie quali la Postumia e l’Aurelia, infrastrutture fondamentali per il futuro sviluppo commerciale e imprenditoriale della città.
Dal 401 l’Italia e il Veneto diventano preda dei barbari (prima i Visigoti con Alarico e poi gli Unni guidati da Attila) i quali portano anche alla caduta dell’Impero Romano (476).
Poi arrivano gli Ostrogoti con a capo Teodorico e successivamente i Bizantini con Belisario, che occupa Treviso nel 540. Un anno dopo sopraggiungono i Goti che sconfiggono i Bizantini e in città, a comandare la guarnigione militare, resta Badiulla, noto con il nome di Totila (il vittorioso). Diventa re dei Goti e muore in combattimento.
Questo personaggio fu erroneamente creduto cittadino trevigiano e la sua effige è stata immortalata in un medaglione che l’Amministrazione civica ancora oggi consegna ai cittadini benemeriti.
Dopo un breve ritorno dei Bizantini, arrivano, dalla Pannonia, i Longobardi al comando di re Alboino.
Treviso si salvò per merito del Vescovo Felice che si recò sulle rive del Piave, verso Lovadina, ad incontrare Alboino per fargli promettere di non assalire la città.
Treviso fu sempre guardata con simpatia dai Longobardi: divenne sede di un Ducato, poi di un gastaldo, quindi di un’importante zecca che batté i “tremissi” d’oro per conto di re Desiderio; la zecca continuerà la sua attività fino al dominio della Serenissima, per la quale conierà i “bagattini”.
Ma anche il regno dei Longobardi è destinato a tramontare. Nel 773, sconfitto dagli eserciti nemici, Desiderio muore.
Così, nel 774, Carlo Magno diventa signore incontrastato dei domini longobardi in Italia e lascia a Treviso un suo governatore, che viene ucciso durante una sommossa. Questo episodio crea nuove guerre finché la città deve sottomettersi definitivamente ai Franchi.
A questo punto si innestano nella storia trevigiana le imprese del paladino Orlando, arrivato al seguito delle armate di Carlo Magno. Si racconta che vicino Treviso egli abbia affrontato in campo aperto 30 mila saraceni, sbaragliandoli in poche ore nonostante l’inferiorità numerica dei Franchi. Poi, grato a Dio per la vittoria, eresse sul posto una chiesetta dedicandola all’Arcangelo Michele. Forse quel posto era lo stesso dove parecchi secoli dopo doveva sorgere la borgata di Sant’Angelo.
Dopo la morte di Carlo Magno ci fu l’invasione degli Ungheri che devastarono la città, poi il dominio di Berengario marchese del Friuli e poi re d’Italia e, infine gli editti dell’imperatore Ottone I di Sassonia che, nel 952, decretò l’unione delle Venezie al Ducato della Baviera.
Soltanto verso la fine del sec. X Treviso diventa capoluogo della Marca trevigiana, la quale nel 1162 si identifica nel motto “Monti Musoni Ponto dominorque Naoni” (dominio dal monte al mare dal Musone al Noncello), ancora oggi riprodotto nello stemma dell’Amministrazione Provinciale.
Attorno all’anno Mille, in seguito alla concessione del vescovado che precedentemente aveva sede ad Asolo, Treviso comincia a delineare la sua fisionomia cittadina. Fu dato inizio ai lavori della Cattedrale, su un insediamento precedente, e si intrapresero diverse attività manifatturiere legate allo sfruttamento delle acque, come i laboratori tessili che diedero vita a una tradizione ancora oggi vanto del sistema economico trevigiano. Nel 1167 Federico Barbarossa conferisce l’autonomia al Comune di Treviso. Dapprima fedele all’imperatore, Treviso si allea successivamente con le altre città della Lega Lombarda sconfiggendo e cacciando i longobardi. È di questo periodo l’ampliamento e il consolidamento del tessuto urbano attorno ai canali e lo sviluppo della seconda cinta muraria. Vennero istituzionalizzate le cariche comunali dei consoli e del podestà, del quale si ha notizia già verso la metà dell’anno Mille. Anche le attività legate alla navigazione fluviale, già importanti dall’epoca romana, conobbero una forte espansione. Treviso divenne un comune potente quanto Verona e Padova e il terzo polo della Marca Trevigiana, un territorio assimilabile al Veneto odierno. Tra 1207 e 1338 Treviso emise gli Statuti Comunali, un insieme di leggi che regolavano la vita politica, sociale ed economica della città. Grazie a uno di questi, i monaci ebbero facoltà di trasferirsi dentro le mura. Con loro, gli ordini mendicanti portarono i nuovi stilemi dell’architettura gotica. Chiaramente visibile è infatti il passaggio dallo stile romanico al gotico nella chiesa di San Francesco.
Il fiorire della civiltà comunale portò con sé, tra il XIII e il XIV secolo, anche i segni di un futuro declino. Tra questi le lotte nobiliari tra le casate che appoggiavano le fazioni guelfe e ghibelline. Gli intrighi di palazzo e le ostilità tra le fazioni portano al potere le famiglie che costituivano l’oligarchia dominante, tra le quali una delle più importanti fu quella degli Ezzelini. Nel frattempo la città fu teatro di un ciclo di pestilenze di proporzioni bibliche, invasioni di locuste e alluvioni (si ricorda in particolare quella del Piave del 1317) che decimarono la popolazione, distrussero i raccolti e minarono le ambizioni di libertà e indipendenza comunale. Nel 1388 una rivolta portò la città a consegnarsi spontaneamente alla Repubblica di Venezia. L’annessione a Venezia non è un fatto estemporaneo ma la conseguenza di un’influenza economica molto forte già a partire da prima dell’anno Mille, da quando una serie di decreti avevano conferito ai cittadini veneziani libertà di movimento e privilegi fiscali su tutto il territorio del trevigiano. Sotto il dominio della Serenissima, Treviso vive l’epoca rinascimentale in relativa tranquillità. Le attività economiche crescono e consentono uno sviluppo architettonico che risente relativamente della rivoluzione artistica quattrocentesca a favore di uno stile più vicino al gotico veneziano: sereno e abbellito dagli eleganti affreschi murali, tratto distintivo della città, fin dal Medioevo, tanto da esse ormai riconosciuta con il nome di urbs picta. Nel 1509 la Repubblica di Venezia viene sconfitta nella battaglia di Agnadello durante la guerra della Lega di Cambrai e decide di proteggersi facendo di Treviso una città roccaforte. Vengono ampliate le mura e costruite le attuali fortificazioni, insieme a un complesso sistema idraulico che doveva consentire l’allagamento della campagna circostante mediante chiuse. Il progetto fu realizzato da fra’ Giocondo da Verona, religioso, matematico e architetto, e già nel 1511 queste opere di difesa militare resistettero a un primo assedio portato dalla Lega di Cambrai. L’attuazione del piano vide l’abbattimento degli edifici che non rientravano nel nuovo perimetro. Bartolomeo Zuccato scrive nella sua Cronaca Trevisana: “Con grandissima tristezza si cominciò a fortificare la città di Treviso, facendovisi lavorar dì et notte huomini et donne, et furono gittate a terra molte belle et alte torri, che erano alle tre principali fonti della città, et a Portelli, et d’intorno le mura…”, a testimonianza di un momento storico drammatico che amareggiava già allora gli animi degli stessi trevigiani, consapevoli della perdita di identità e ruolo che la nuova opera avrebbe inflitto. Seguendo il progetto di fra Giocondo, fu abbattuta una parte delle alte mura trecentesche in funzione della scelta delle nuove armi da fuoco che preferivano presidi più bassi. La distruzione dei borghi fuori le mura scatenò il malcontento della popolazione, tanto da spingere la Repubblica di Venezia a mandare il suo comandante, Bartolomeo D’Alviano, a proseguire i lavori, che si chiusero nel 1520 migliorando anche il sistema di chiuse che permetteva l’allagamento della spianata. La cerchia muraria circoscrisse definitivamente la città lasciando solo tre porte d’accesso tuttora visibili. Nel 1520 l’opera fu completata. La fisionomia della città rimarrà pressoché inalterata fino all’Ottocento: un rettangolo il cui lato meridionale è delimitato dal Sile, mentre a nord il fiume Cagnàn viene interrato sotto il Ponte di Pria (Ponte di Pietra). La rinnovata conformazione urbana cambia radicalmente il destino di Treviso: la nuova cinta muraria chiude infatti la possibilità di espansione e muta il ruolo stesso della città, non più aperta al territorio ma chiusa e privata di commerci e industriosità. Un declino lungo che perdurerà fino all’annessione al Regno d’Italia.
La tranquillità del dominio veneziano non impedì il progressivo impoverimento della città, che si ripiegò su se stessa formando due sole classi sociali, nobili e popolo, senza alcun ceto medio imprenditoriale capace di innovare e sviluppare il territorio. La situazione conobbe il suo massimo sviluppo nel Settecento grazie al modello della villa-azienda, già presente nei secoli precedenti, che costituisce un’interessante tipologia di casa-azienda dove la peculiarità dell’abitazione patrizia urbana sono accorpate alle necessità di edifici destinati alle attività agricole. Le ville erano adibite a casa di villeggiatura della nobiltà, specialmente veneziana, che veniva a controllare i propri domini e propri interessi. La Marca Trevigiana si arricchì in questo modo di eleganti costruzioni che ancora oggi costituiscono una delle mete più importanti per il turismo della zona. La città di Treviso attraversò i secoli XVII e XVIII senza nessuno sviluppo significativo, complici le calamità naturali e la situazione di isolamento dovuta alla cinta muraria. Vale la pena ricordare il Palazzo Dolfin Giacomelli, eretto verso la fine del Seicento su progetto di Andrea Pagnossin. Si trova nei pressi di ponte Dante, è affacciato sul Sile e presenta una facciata maestosa ed elegante, meravigliosamente armonizzata con le acque del fiume. Al primo piano, il salone noto come Sala delle Feste è affrescato con scene di ballo.
Nel 1797 si conclude l’esperienza della Repubblica di Venezia e Treviso è annessa alla Repubblica Cisalpina del Veneto. Durante il periodo napoleonico, la città è sede della firma di una armistizio tra francesi e austriaci. Il congresso di Vienna del 1815 al conferì, insieme alle altre province venete, al Regno Lombardo-Veneto. Le condizioni di vita dei ceti più umili erano peggiorate rispetto agli anni precedenti e ancora particolarmente gravi; ciononostante, a partire dalla seconda metà del secolo, cominciarono a circolare le idee risorgimentali che trovarono nell’erezione della stele commemorativa dedicata a Dante Alighieri nel 1865, in occasione del sesto centenario della nascita, un motivo di orgoglio nazionale. Nel 1866 Treviso viene annessa al Regno d’Italia. Nel 1879 l’abate Balio fonda il Museo Balio, sede del complesso dei musei civici di Treviso, una delle opere più significative dell’Ottocento trevigiano. Il Museo si trova nell’edificio che fu convento di San Girolamo nel Cinquecento e dei Carmelitani Scalzi nel secolo successivo. Fanno parte del complesso anche la chiesa di Santa Caterina e la Ca’ da Noal. La sezione archeologica conserva reperti dell’età del rame, del ferro e del bronzo, oltre a ritrovamenti paleoveneti e romani provenienti dal territorio di Treviso. Particolarmente interessanti le spade paleovenete e altri manufatti quali asce, fibule e vasi. La pinacoteca ospita diverse opere di scuola veneta frutto di lasciti o acquisizioni da edifici religiosi. Da vedere la tavola del Crocefisso dipinta da Giovanni da Bologna; la Madonna con Bambino di Giovanni Bellini; un’adorazione dei magi del trevigiano Girolamo da Treviso il Giovane; le vedute di Treviso di Medoro Coghetto, nelle quali è possibile ammirare la Piazza dei Signori e il Duomo, le opere di Antonio Canova, Hayez e altri artisti. Nella Galleria d’Arte moderna sono conservate due importantissime collezioni: la raccolta di più di cento pezzi dello scultore trevigiano Arturo Martini e la raccolta Salce, circa 25.000 manifesti pubblicitari firmati da artisti quali Martini, Sironi, Casorati, che rappresenta la seconda collezione del mondo dopo il Musée della Publicité di Parigi.
Alla fine del XIX secolo le mura perdono la loro funzione difensiva e le amministrazioni cominciano a sentire l’esigenza di rompere l’isolamento cittadino. Tra la fine dell’Ottocento e gli anni trenta del secolo successivo vengono quindi aperti dei passaggi per favorire scambi e commerci. Le mura, ingentilite da giardini, offrono l’occasione per gradevolissime passeggiate durante le quali si possono ammirare le opere ingegneristiche dei ponti e le suggestioni dell’acqua e del verde. Mentre in città cominciano a consolidarsi realtà imprenditoriali, la campagna e le attività rurali risentono di un momento economico particolarmente sfavorevole e le popolazioni dell’area vivono in condizioni di grande povertà. Cominciano i primi flussi migratori; un fenomeno che sarà comune a tutta la regione del Veneto e che ne influenzerà profondamente lo sviluppo. I primi flussi saranno indirizzati principalmente verso il Sud America, dove ancora oggi sono presenti forti comunità venete e trevigiane. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il 7 aprile 1944, Treviso fu vittima di un terribile bombardamento alleato che distrusse gran parte della città, radendo al suolo interi quartieri, compromettendo il patrimonio artistico che, si stima, andò perduto per l’80% e, non certo da ultimo, uccidendo quasi mille persone. Il dopoguerra è caratterizzato da un secondo ingente flusso migratorio, perdurato fino agli anni cinquanta, indirizzato all’estero e, internamente, verso le regioni industrializzate del Nord-Ovest e le terre bonificate dell’Agro Pontino. Un’onda migratoria cominciata alla fine dell’Ottocento che viene oggi analizzata come portatrice di un positivo riflusso, capace di dare nuova linfa, in termini di competenze e risparmi, all’economia del territorio, la cui fortissima ripresa si è sviluppata integrando le specificità locali con l’innovazione tecnologica e con un antico senso della comunità. Basti pensare al comparto enologico o vestiario, dello sport o dell’arredamento: settori che hanno acquistato i mercati nazionali e internazionali.